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Premio d'arte urbana Pébéo: quattro chiacchiere con Alberto Ruce

16/06/2021

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In occasione della 5ª edizione del concorso internazionale Mixed Media organizzato da Pébéo, facciamo quattro chiacchiere con Alberto Ruce, vincitore del 2° premio.

Potresti presentarti e parlarci della tua pratica artistica?

Alberto è il mio nome, Ruce è il tag che ho acquisito per strada. Quando dipingi per strada, firmi con il tuo tag (per essere anonimo) e così i miei amici e le persone della zona finivano per chiamarmi Ruce. Il mio tag associato al mio nome è diventata la mia identità artistica: Alberto Ruce. Ho iniziato a dipingere delle lettere vero i 13/15 anni, quando ho fatto i miei primi graffiti sui muri della scuola. Era qualcosa che avevo visto quando ero andato in città e lo volevo replicare. Vengo da un piccolo paese del sud Italia. Nella mia zona non c'era nulla che assomigliasse lontanamente a un tag o un graffito, l'ho scoperto poco a poco. Ho scoperto gradualmente la cultura hip-hop e ho capito cosa fossero i graffiti, la breakdance, il rap. Nel 2009 mi sono trasferito a Parigi e ho incontrato una miriade di universi artistici, graffiti, street art, arte contemporanea... e ne sono stato travolto. Ho iniziato a sviluppare le mie lettere avvicinandomi al 3D, sugli oggetti, poi negli anni le lettere sono scomparse, e ho intrapreso sempre più la strada del figurativo e della pittura. Oggi posso descrivermi come un pittore urbano che lavora per strada. In studio passo lunghe ore a studiare il colore, le forme e l'idea, poi traspongo questo lavoro sui muri. Altre volte traggo ispirazione dalla strada per i lavori in studio che realizzo su carta, su tela o su legno. In un modo o nell'altro rimango molto legato allo spirito dei graffiti, alla ricerca di luoghi abbandonati dove dipingere, di muri su cui mettere le mie opere mentre passeggio per la città.
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Cosa desideri esprimere attraverso il tuo lavoro?

Voglio comunicare agli altri che spesso ci troviamo in situazioni di superficialità, superficialità emotiva, superficialità di percezione sensoriale. Penso che la superficialità potrebbe farci scomparire come individui empatici. Spesso siamo così presi dai nostri problemi che dimentichiamo un intero mondo intorno a noi. Con i miei quadri vorrei dimostrare che la nostra mancanza di attenzione ci fa sfuggire cose intense e importanti. Vorrei ricordare che c'è tutto un mondo intorno a noi che rischiamo di perdere.

Chi sono le persone raffigurate sui tuoi muri? Quali sono le tue fonti d'ispirazione per questi ritratti?

Mi piace rappresentare persone e situazioni che conosco, che mi sono familiari e per le quali provo qualcosa. La maggior parte delle volte, i ritratti che dipingo provengono dal mio lavoro fotografico. Mi piace particolarmente rappresentare le emozioni intense; adoro il contrasto tra un dipinto molto delicato e un soggetto molto forte. Ultimamente i miei soggetti si sono mossi verso l'esplorazione di un tema che mi è caro: il mondo rurale, con scene pastorali legate al rapporto tra uomo e natura, con contadini che ancora lavorano la terra e le sue risorse in modo naturale, così come gli animali. È un mondo che mi affascina e al quale mi sento legato.

Le tue opere hanno un legame diretto con il luogo in cui lavori?

Quando dipingo per strada faccio spesso riferimento al luogo in cui mi trovo, non importa che sia un intervento illegale o legale, mi piace relazionarmi con l'ambiente in cui intervengo. Penso che in questo modo la pittura sia molto più intensa e l'atto pittorico assuma un valore diverso. Non si tratta solo di dipingere per necessità, ma diventa un altro mezzo di comunicazione. Dipingere una certa immagine in un luogo specifico può avere una forza molto più intensa rispetto alla stessa immagine dipinta in un altro luogo. A volte non è sempre fattibile, voglio solo dipingere ciò che mi piace, comunicando un messaggio più generale. Non trovo necessariamente un riferimento intrinseco al luogo, ma non importa perché non sempre riusciamo a creare le situazioni che ci piacciono. A volte ho solo bisogno di trovare un muro che abbia una fessura pronunciata per poter vedere un'immagine. Basta questo per poter dialogare con il luogo e dipingere un'immagine perfettamente legata all'architettura.

Incontrare il pubblico, i passanti, i residenti è importante per te. C'è stato uno scambio o un incontro che ti ha particolarmente segnato?

Incontrare il pubblico è spesso stimolante, per me è quasi indispensabile. Ai festival non sempre ho l'opportunità di discutere, di interagire con le persone. Trovo però che ascoltare il parere delle persone che abitano nel quartiere e parlare con loro sia davvero il “plus” di questa disciplina. La cosa più gratificante può essere il commento di un bambino, l'approvazione di una persona anziana, ti sembra di essere stato nel posto giusto al momento giusto, come se stessi facendo qualcosa di interessante per la comunità. Ho incontrato moltissima gente per strada, ne avrei da raccontare. Mi ricordo ad esempio di una volta in cui avevo deciso di intervenire su un muro senza che nessuno me l'avesse commissionato né perché fosse legato ad un festival. Quell'incontro mi portò a cambiare soggetto. Il giorno prima di dipingere un muro, lo preparo ad accogliere la realizzazione. Quel giorno, un passante che viveva nel quartiere e al quale mostrai il mio schizzo da una foto che avevo scattato a una statua di una chiesa lì vicino, mi disse che non voleva vedere un'immagine sacra ogni giorno. Lo capii al volo perché sono agnostico, e così decisi di cambiare il soggetto scegliendone un altro che mi piacesse. Mentre lo dipingevo, il giorno dopo, mi resi conto che il quadro si adattava perfettamente alle crepe nel muro. È un'opera che raffigura due persone, due amanti che si baciano e alla fine si è rivelata l'immagine più appropriata per questo muro.

Cosa ti ha spinto a candidarti per questo Premio di arte urbana?

È un concorso che unisce un grande marchio che conosco bene, perché uso spesso gli acrilici Pébéo, e un'istituzione di arte urbana, Fluctuart. In un primo momento volevo davvero far loro conoscere il mio lavoro. Sono onorato che quest'ultimo sia piaciuto al punto da essere selezionato.
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Hai realizzato la tua prima esposizione personale in Francia, lo scorso ottobre. Hai altri progetti in vista o qualche desiderio da realizzare in futuro?

Dopo questa mostra organizzata da Art'Murs, spero di poterne presentare altre a Parigi, ma anche fuori dalla Francia. Uno dei miei progetti che spero vedrà la luce entro un anno è l'uscita del documentario legato al mio progetto Transumanze. L'ho realizzato in collaborazione con la videomaker/regista Carla Costanza. Insieme abbiamo ricercato l'abbandono dei piccoli borghi e delle usanze popolari in Sicilia. Nel periodo in cui abbiamo svolto questa indagine, nel 2019, ho dipinto gli edifici di dieci piccoli paesi siciliani. Ho rappresentato usanze popolari dell'entroterra siciliano che si stanno perdendo o che sono già andate perdute. Abbiamo appena firmato con la casa di produzione Cocoribou Films. Il documentario è attualmente nella fase più difficile e più lunga, quella della postproduzione. Nel frattempo, sono stato invitato a partecipare a diversi festival questa primavera. Tenete gli occhi aperti ... Maggiori informazioni sul sito web di Alberto Ruce.
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